Roberto Ghezzi

Roberto Ghezzi

Paesaggi liminali

1° maggio – 2 luglio 2023

Lo Spazio Ulisse di Chiusi ospiterà dal 1° maggio la mostra “Paesaggi liminali”, dedicata alla ricerca dell’artista toscano Roberto Ghezzi. Saranno esposte le naturografie: opere che nascono dalla collaborazione tra l’artista e l’ambiente. Lavori in cui Ghezzi non controlla il processo creativo ma lo condivide con la natura, che così diventa co-autrice delle opere. L’artista immerge le sue tele in differenti ambienti naturali e lascia che le condizioni atmosferiche, gli organismi viventi e le piante creino dei peculiari paesaggi astratti sul tessuto. Negli anni le naturografie sono diventate anche uno strumento di monitoraggio e mappatura dell’ecosistema e della sua biodiversità, una maniera singolare per esplorare il rapporto tra arte, uomo e ambiente. La mostra non si limita agli spazi di via Porsenna ma si estende al vicino lago di Chiusi dove, dinanzi all’associazione Lenza etrusca, sarà possibile osservare il compiersi di una naturografia, opera che sarà poi esposta in galleria. La mostra “Paesaggi liminali” è una testimonianza della bellezza e della fragilità dell’ambiente, ma anche un invito a riflettere su temi come la sostenibilità, la crisi climatica e l’etica. La mostra è realizzata con il supporto della Associazione Lenza Etrusca e con il patrocinio del Comune di Chiusi.

Roberto Ghezzi - Paesaggi liminali

Roberto Ghezzi

Nato a Cortona nel 1978. I suoi esordi sono legati alla pittura. Tutta la sua produzione è fondata sul forte interesse per il paesaggio naturale. Nei primi anni 2000 presenta al pubblico opere che nascono da studi e sperimentazioni su luoghi naturali, spesso incontaminati, e il cui titolo “Naturografie” ha in sé il concetto fondante sia del risultato finale, che del processo. Roberto Ghezzi ha effettuato decine di residenze artistiche, ricerche sperimentali e installazioni ambientali, oltre che in Italia, anche in luoghi remoti del pianeta come Alaska, lslanda, Sudafrica, Norvegia, Tunisia, Patagonia, Danimarca, Nord Macedonia e Groenlandia. Ha realizzato progetti artistici in collaborazione con importanti istituti di ricerca scientifica tra cui CNR ISMAR, CNR IOM, CNR ISP e ARPA.⠀

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Mara Predicatori, Paesaggi liminali

Etimologicamente, liminare deriva dal latino limen – minis che letteralmente significa soglia. L’aggettivo allude dunque al significato di “confine”, dell’“appena prima”. Connota stati di indeterminazione latente che non permettono di collocare un evento o un oggetto precisamente in una categoria. I paesaggi realizzati da Roberto Ghezzi per la mostra allo SpazioUlisse sembrano rispondere a questa aggettivazione per più fattori. In primo luogo perché riuniscono opere realizzate in tre contesti prossimali: il lago di Chiusi (Toscana), il lago Trasimeno (Umbria) e l’Appennino centrale che hanno avuto storicamente una funzione di confine ma che, di fatto, sono territori che investono lo sguardo del riguardante di una stessa matrice atmosferico-esperienziale pur nelle loro peculiarità morfologiche. Sono, in qualche modo, spazi geograficamente diversi, ma paesaggisticamente rispondenti. In secondo luogo perché le opere stesse di Ghezzi sono dei quasi-paesaggi o degli ultra-paesaggi che si collocano in una zona franca del genere artistico paesaggistico mutuandone in parte gli aspetti ma, per altri versi, oltrepassandolo. Vediamo.

Roberto Ghezzi è un artista da sempre concentrato sulla rappresentazione del paesaggio e il rapporto uomo-natura. Con le Naturografie, opere che produce facendo in modo che sia la natura stessa a lasciare proprie tracce (grafia) sulla tela, orienta in modo concettuale la sua ricerca e istituisce un nuovo e singolare rapporto tra arte e scienza. L’autore, infatti, circa 20 anni fa, limita la pratica del dipingere e, al posto di pigmenti, oli e affini, fa in modo di catalizzare i processi naturali capaci di sedimentare tracce sulle tele lasciate in natura. Le sue opere sono delle oggettificazioni del paesaggio per contatto: sono le alghe del lago, gli organismi che vi transitano e vivono che lasciano tracce sulla tela; è il sedimento terroso e la clorofilla che dipingono queste superfici e non il gesto volitivo di un pittore. In sostanza, le Naturografie sono ad un tempo delle opere (arte) e dei referti (scienza) in quanto sono immagini prodotte con la stessa sostanza della natura e, in quanto tali, possono ad un tempo essere lette da un punto di vista meramente estetico (come rappresentazione di un paesaggio), o da uno scientifico (come matrici di raccolta utili a indagare aspetti ambientali ed ecologici). Ancora: poiché da un punto di vista estetico esse non rappresentano mimeticamente una veduta identificabile per le sue fattezze come da tradizione, ma sono quel paesaggio in virtù del lascito da parte di uno specifico habitat di propri elementi, l’autore ha istituito uno scarto concettuale tra l’essere e l’apparire della natura nella raffigurazione artistica tale da indurci a definire le Naturografie come “paesaggi concettuali” ambigui ed affascinanti. Liminali.

Anche uscendo dalla pura speculazione filosofico/concettuale e soffermandoci sulla dimensione estetica delle Naturografie, possiamo affermare che le tele di Ghezzi presentano una enigmaticità ipnotica generata da un’ambivalenza di stato. Le sue opere, infatti, ad un primo sguardo appaiono di tipo materico-astratto. Tuttavia, in esse, lo spettatore non tarda a riconoscere la linea di orizzonte, ovvero quella linea di demarcazione che taglia l’incontro di cielo e terra in tutti i dipinti di paesaggio e che forgia l’identità e intensità emotiva della scena. Da pittore di formazione, infatti, Ghezzi pianifica l’installazione in natura della tela in modo che i diversi elementi (aria e acqua o terra ed aria) tingano campiture differenti di colore sul supporto. Così facendo, egli orienta il “disegno” dell’opera ottenendo un’impressione di paesaggio e realizzando una “veduta” sintetizzata negli elementi primari di cielo-terra. Come nei paesaggi ideali di peruginesca memoria (siamo nei luoghi del Perugino), di fronte alle sue tele siamo dinanzi ad un paesaggio essenziale e mentale, senza connotati specifici, ma fatto di cromie naturali e atemporali che edulcorano la realtà in essenza. Non vediamo il lago di Chiusi o il Trasimeno o l’Appennino, ma siamo di fronte a qualcosa che, per emanazione diretta e per le sue strutture basiche, ricorda ontologicamente quei paesaggi.

Questo bipolarismo intrinseco nelle opere di Ghezzi tra pura arte e pura scienza, tra una dimensione estetica dell’opera di stampo informale-astratto-romantica e il suo invece essere contestualmente manifestazione diretta di fenomeni di natura analizzabili allo spettrogramma della scienza, rende le Naturografie di Ghezzi seduttivamente ambivalenti e culturalmente complesse. Delle opere di soglia, appunto. Degli oggetti materiali, concreti, manipolabili, eppure sfuggenti ed enigmatici perché non risolvibili in una definizione unilaterale. A livello operativo, nascendo da azioni in natura, sembrano ereditare aspetti dell’arte ambientale e performativa, eppure non lo sono ed anzi presentano connotati propri della tradizione pittorica naturalista così come, l’abbiamo detto, hanno una caratura concettuale inequivocabile. Da un punto di vista culturale più ampio esse sembrano ad un tempo eredi di un certo romanticismo che si evince nell’atto di rinuncia da parte dell’artista di rappresentare il paesaggio per propria mano per non tradirne il mistero e la complessità; ma sono anche figlie di un positivismo illuminista che demanda al potere analitico della scienza la possibilità di comprensione dei fenomeni naturali. Le Naturografie allora, forse, hegelianamente parlando, nella loro polivalenza liminare attivano una terza via di sintesi in cui poesia e lessico scientifico, irrazionalità e razionalità, delega e controllo sui fenomeni naturali convivono e diventano metafora. Metafora di un complesso e eternamente irrisolto rapporto uomo-natura ove l’uomo si colloca sempre in modo paradossale: superbo interprete di ogni cosa e imprevedibile fattore modificante degli assetti ambientali, ma anche – e soprattutto – misero essere in balia dell’impero assoluto della natura stessa.